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Tra uomo e donna, per una società meno violenta.

  • Immagine del redattore: Annarita Corradini
    Annarita Corradini
  • 16 lug 2024
  • Tempo di lettura: 3 min

L’autodeterminazione in base ai propri veri bisogni e desideri è una conquista fondamentale per ogni essere umano. Negli ultimi cinquemila anni questo progresso ce l’ha avuto il genere maschile, portando avanti una narrazione dell’evoluzione ad una sola dimensione, quella della conquista, della predazione, del dominio, della gerarchia, del migliore, della competizione, dell’esclusione del diverso, a discapito di una modalità basata sulla reciprocità, sulla collaborazione, sull’inclusione, sulla condivisione, sull’accoglienza, sul rispetto del diverso da sé. Qualità queste ultime che di solito vengono annoverate tra quelle femminili.


Nessuna delle due categorie, maschile e femminile, sono giudicate negativamente a condizione che entrambe partecipino alla vita in maniera complementare. È proprio questo il punto: lo svilimento delle qualità femminili, giudicate inferiori da una mentalità patriarcale androcentrica, non può che portare alla degenerazione anche di quelle maschili.


Non è mai superfluo precisare che parlare di dimensione maschile e femminile non equivale a dire maschio e femmina, uomo e donna. Entrambe le qualità appartengono alla vita, riflettono le due dimensioni dell’esistere. Purtroppo, sempre troppo spesso, identifichiamo nel maschio solo le qualità maschili e nella femmina solo quelle femminili, operando una incauta semplificazione.


Ne è risultato, nel tempo, un’inimicizia tra l’uomo dalla donna, che li ha obbligati a difendersi ciascuno verso l’altro esercitando tutto il potere che la società del momento loro legittima: la forza fisica, la forza economico-finanziaria, la forza politica, contro la forza della bellezza fisica, della seduzione, dell’attrazione sessuale. Chi di noi non ha accennato un sorriso alla vista di un nostro premier di non lontana memoria che lusingava giovani donne ammiccanti? In quel sorriso c’è il riconoscimento di una verità, quella dell’uomo e della donna che tentano di dominarsi, l’un l'altra, usando ciascuno le proprie armi.


Gli psicoanalisti dicono che c’è ancora molta strada da fare interiormente affinché l’inconscio di entrambi si modifichi, al fine di un avvicinamento autentico. L’uomo teme la donna e la donna teme l’uomo, ognuno per ragioni diverse. Poste queste condizioni, la loro non può che essere una relazione basata sul potere, sul controllo reciproco, esattamente il contrario dell’amore.



Gli atteggiamenti di uso e abuso di potere, di ciascuno sull’altro, si sono sedimentate nell’inconscio collettivo per millenni, stratificandosi, divenendo una coltre dura e resistente. Occorre un lavoro certosino, giorno dopo giorno, rompere con lo scalpello l’incrostazione che si è formata. Quotidianamente bisogna fare i conti con le abitudini, i modi di dire, di pensare, di parlare. Tutti automatismi che rafforzano, ogni volta che vengono ripetuti, la vecchia mentalità.


Allora occorre sceglierle, le parole. Ancor prima i pensieri. È dunque urgente ricercare la propria verità, farsi le domande, misurarsi con il proprio sentire, andare fino in fondo e poi attendere, senza fretta di trovare una risposta, lasciando uno spazio vuoto di ascolto.


Facile a dirsi ma difficilissimo da attuarsi in quest’epoca che non lascia spazi vuoti in cui favorire l’ascolto. Fortunato/a chi si offre un setting appropriato per questa ricerca, come lo studio di uno psicologo.


Possiamo così inventarci modi nuovi di esprimerci, nuovi modi di fare, per essere più coerenti con la nostra verità interiore, al fine di promuovere una nuova cultura.


Sogno, immagino, una nuova cultura, non più condizionata dalla paura di non essere adeguati ma basata sull’ascolto, sul rispetto e la valorizzazione di se stessi e dell’altro. Perché se saremo veramente capaci di riconoscere, legittimare, quindi rispettare, la propria differenza personale, lo saremo inevitabilmente anche verso l’altro/a.


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